Imposta straordinaria per il 2023 a carico delle Banche: nuovi scenari

Redazione Euribor

Il governo italiano ha comunicato l’intenzione di introdurre nel 2023 un’imposta straordinaria – una tantum – agli istituti bancari.

Questa tassa sarà calcolata sulla base dell’aumento del tasso di interesse, il quale rappresenta il guadagno netto delle operazioni creditizie e dalla raccolta dei depositi.

Tale incremento è attribuibile all’attuale crescita dei tassi di interesse.

La motivazione alla base di questa decisione risiede nella percezione che le banche abbiano lucrato dall’incremento dei tassi di interesse.

Questo vantaggio si è materializzato nell’innalzamento dei costi dei finanziamenti senza un corrispondente aumento dei rendimenti sui depositi.

In effetti, il beta medio dei depositi delle banche italiane (percentuale di aumento dei tassi di interesse della banca centrale riflessa nei depositi) è inferiore alla media delle banche dell’Area Euro.

Per ristabilire un equilibrio, i fondi raccolti da questa tassa straordinaria verrebbero destinati alla creazione di un fondo per la riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese.

Tuttavia, è opportuno esaminare anche gli effetti imprevisti che questa misura potrebbe generare.

Innanzitutto, occorre considerare il punto di vista degli investitori, i quali solitamente reagiscono in modo estremamente sensibile alle notizie impreviste e rapide che coinvolgono il settore bancario.

Le misure che influenzano la redditività delle banche sono particolarmente delicate, poiché interessano l’intero settore europeo che, nel corso degli ultimi quindici anni, ha attraversato due forti crisi economiche, regolamentazioni sempre più rigide, tassi di interesse vicini allo zero – o addirittura negativi – e misure adottate dopo l’era post-Covid-19, che hanno pesantemente influenzato la distribuzione dei profitti.

Questo ha comportato la creazione di banche più solide ma meno redditizie, con livelli di Return on Equity (RoE) che non riescono a coprire il costo del capitale.

Il RoE rappresenta il rendimento richiesto dagli investitori per detenere azioni bancarie.

A titolo di esempio, mentre il RoE medio delle banche dell’Unione Europea a marzo 23 era del 10,4% (10,9% per le banche italiane), nel marzo 20, immediatamente prima della pandemia, tale indicatore si attestava solo all’1,3% (-2,1% nel caso delle banche italiane).

In sintesi, la mossa del governo Meloni intende adeguare il vantaggio che le banche avrebbero tratto dall’aumento dei tassi di interesse, non adeguatamente condiviso con i consumatori, titolari di conti.

Nonostante le banche siano diventate più resilienti, la loro redditività è stata compromessa, come dimostrano gli attuali livelli di RoE, che sono notevolmente aumentati rispetto al periodo prepandemico.